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Antica Roma

Nell'antica Roma i censimenti venivano effettuati già dalla fine del VI secolo a.C. e servivano anche per valutare la classe sociale di appartenenza, il ruolo nell'organizzazione militare o politica e ovviamente la quantità di tasse dovute.
Dionigi riporta come durante il consolato di Aulo Verginio Tricosto Rutilo e Spurio Servilio Prisco (476 a.C.) a Roma si contassero oltre 111.000 cittadini, cui si dovevano aggiungere donne, bambini, schiavi, liberti, che dovevano essere almeno tre volte il numero dei cittadini, per un totale di oltre 440.000 abitanti.
Durante il 465 a.C. a Roma il censimento contò 104.714 romani.
«In seguito venne fatto il censimento e Quinzio ne celebrò il sacrificio conclusivo. Pare che i cittadini registrati - fatta eccezione per orfani e vedove - ammontassero a 104.714»
(Tito Livio, Ab urbe condita libri, Libro III, 1, 3.)
Tito Livio racconta come, nel 459 a.C. (in effetti fa riferimento al consolato di Quinto Fabio Vibulano e Lucio Cornelio Maluginense Uritino), si sia concluso il decimo censimento ab Urbe condita, dal quale risultarono 117.319 cittadini romani.
Nel 443 a.C. il Senato romano istituì la magistratura del censore, a cui fu affidato il compito di tenere i censimenti della popolazione, e di tenere i relativi registri, perché era ormai evidente, che i consoli, a cui era originariamente affidato questo compito, non riuscivano più ad attendervi.
Con l'espansione e in seguito l'avvento dell'impero i censimenti vennero estesi anche alle province conquistate, per conoscere meglio le risorse umane ed economiche di cui si era entrati in possesso. Gesù nacque proprio durante uno di questi censimenti ordinati dall'imperatore Augusto tra il 28 a.C. e il 14 d.C.
«Siccome i cittadini più autorevoli disdegnarono la carica, il popolo decretò di affidare il censimento a Papirio e a Sempronio.... Dalla loro funzione presero il nome di censori»